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Il Respiro.eu Aprile 2010
 
Sporcava. I suoi frutti rossi e talvolta qualche spata seccata cadevano nel giardino sottostante di lei, fotografa abituata a riprendere la vita dall’esterno, senza viverci dentro. Una donna sola, amareggiata probabilmente, con l’eccesivo zelo per la pulizia e l’ordine. Tutto sterile, sterilizzato forse come la sua anima ed il suo centro profondo. E la palma, essere magnifico e vegetale con più di cento anni di vita, una piattaforma per gli uccelli e le altre numerose specie di animali che da anni ci vivevano sopra ha subito il suo martirio ed è stata tagliata. Il suo tormento interiore, la sua rabbia verso il mondo ha vinto. Si è scagliata, avallata da certificazioni basate su argomentazioni fatiscenti (la palma tende a storcersi ed è diventata pericolosa) ed organizzate, su un essere secolare, che per anni ha dato vita, ossigeno e bellezza a tutti gli abitanti che gli vivevano accanto stimandola, sentendola, amandola e l’ha uccisa. Pulito, ora sarà tutto pulito e vuoto. Son bastati due uomini , uno dei quali sulla sessantina, con una motosega ed un’impalcatura metallica a far fuori in una calda mattinata di aprile la Phoenix canariensis di Via Sant’Agata dei Goti. Pulito, tra qualche giorno sarà tutto pulito , ora però la palma è ancora in piedi con il suo stipite forte e scolpito ma con la testa tagliata, la sua gemma apicale troncata e questo noi lo sappiamo significa : morte definitiva. Tutto pulito e vuoto come la sua anima fredda e tormentata. Toccherà a noi riempirla con il nostro sdegno e la nostra rabbia. In un periodo nelle quali le palme vengono decimate giorno dopo giorno da un’epidemia devastante, pretendere di tagliare ( e riuscirci) una palma sana, femmina sana e rigogliosa solo per via dei suoi piccoli datteri marroncini che una colpa hanno certo quella di sporcare il suo giardino ordinato, è un esempio da combattere : vera e propria malattia che si manifesta in’azione. Nevermore,” mai più” così ripeteva in maniera quasi ossessiva una poesia di Edgar Allan Poe, che sembra potere essere il nostro messaggio sul quale lavorare affinchè azioni del genere non siano più permesse. E bisognerà nel caso della palma tagliata in via Sant’Agata dei Goti, scartabellare le cartelle delle autorizzazioni, per capire come questo sia stato possibile.
Antimo Palumbo

Penelope va alla guerra. Marzo 2010

Nonno ma perché quell’albero non è più verde? Perché ha perso le foglie mia cara. E perché ha perso le foglie? In natura ci sono due tipi di alberi: i sempreverdi hanno un comportamento più antico e si sono adattati alle difficoltà delle vita, freddo, aridità, arsura trasformando le loro foglie che sono appunto sempre verdi. E’ perché sono verdi? Perché nelle foglie degli alberi , ma anche delle altre piante avviene il miracolo della nostra esistenza, un miracolo silenzioso e invisibile. Davvero nonnino un miracolo, come quelli che avvengono in quel posto di cui parla sempre la nonna , lurdde? Sai mia nonna mi ha detto che la signora Cecilia partirà tra qualche giorno per andare a chiedere un miracolo. Si mia cara, ma quei miracoli sono miracoli sporadici e occasionali non grandi come quello che avviene ogni giorno grazie al sole che ride. Il sole che ride? E’ perché ride? Ride proprio perché con la sua luce e il calore permette il miracolo della vita. Miracolo della vita è che vuol dire? Allora, piccolina lasciami finire, non andare di fretta. Ti parlavo degli alberi. I sempreverdi sono stati i primi a venire su questo nostro pianeta , non chiedermi cos’é ma poi te lo spiego. Grazie alle piante e al loro respirare si è creata un specie di campana invisibile che ha permesso la nostra vita, una campana che non c’è su altri pianeti, aspetta a chiedermi cos’è se no mi confondo,  e che si chiama atmosfera, una sfera invisibile appunto. Le piante poi sono aumentate e così lo spazio a loro disposizione è stato sempre di meno per poter prendere la luce del sole e compiere il miracolo della vita. Uffi, ancora con questo miracolo della vita. E si,  se mi lasci finire poi capisci . Le piante ti dicevo, un po’ alla volta hanno iniziato a crescere verso l’alto per prendere la luce del sole, sono diventate felci, sempre più grandicelle e con un tronco che gli permettesse di rimanere in piedi. Si ma gli alberi non hanno i piedi vero nonno? Certo ,certo non hanno i piedi però andando verso l’alto prendevano spazio e possibilità di farsi toccare e bagnare dai raggi del sole. Per compiere il miracolo della vita. Brava vedo che stai iniziando a capire. I primi alberi furono sempreverdi perché non avevano gli strumenti e la capacità di adattarsi ai cambiamenti delle stagioni. Non avevano un piumone per ripararsi d’inverno. Ah io c’è l’ho! Me l’ha regalato la mamma, tutto blu e con i cuoricini. Si,  anche agli alberi piacerebbe avere un piumone, ma nelle foreste non ci sono i supermercati. Meno male nonno, sai quanta gente  ci sarebbe il sabato? Non divaghiamo mia cara, se no perdo il filo, allora ti dicevo nelle foglie scorre la linfa un po’ come quelle linee blu che si vedono sulla tua mano. Sai come si chiamano? Ah ma questo è facile venus me l’ha detto Roberto. Più o meno più o meno se a venus togliamo qualche lettera diventa vene. Quelle della mano si chiamano vene. Ah si.. venus mi sa che è la crema che mamma cerca sempre che sia in offerta ma non la è quasi mai. E sai nonno cosa fa. No, cosa fa? La compra lo stesso, e poi la sera quando papà sta fuori vedo che se la mette sotto gli occhi e sul collo. Ma non digaviamo nonno, dimmi le vene? Allora nelle vene scorre il sangue, un liquido rosso che serve a nutrirci, non chiedermi come questo succede, te lo racconto un’altra volta. No nonno, vai avanti. Ecco nelle foglie succede la stessa cosa scorre un liquido molto denso  che non si chiama sangue ma linfa, e questo liquido nutre l’albero. Sai cosa succede se d’inverno la temperatura si abbassa e l’albero ha le foglie? No nonno dimmelo tu. Succede mia cara che gela e muore. Allora per evitare questo i primi alberi. I sempreverdi? Ma brava vedo che sei attenta. Si nonno, attentissima. Ecco,  i sempreverdi trasformarono le loro foglie rendendole piccole e resistenti, in alcuni casi divennero degli aghi come quelle dei pini. Vedi proprio come quell’albero laggiù. Si nonno però non mi hai ancora risposto, perché gli alberi perdono le foglie? Allora cos’abbiamo detto succede nelle foglie? Il miracolo della vita, vero nonnino. Bravissima. E ti spiego cos’è questo miracolo. Fai attenzione. Il sole che ride bagna le foglie che attraverso un processo che noi uomini abbiamo scoperto da poco , diciamo forse cent’anni, chiamato fotosintesi clorofilliana.Difficile questa fotosinfasi coccofilliana. Si, anche per molti grandi lo è ma questa la studierai quando diventerai grande. Ti dicevo che grazie a questo processo.Lo stesso che hanno subito le Winx? No quello è un’altra cosa e un altro giorno ti spiegherò anche questo cosa vuol dire. Diciamo che grazie ad un’azione invisibile che avviene nelle foglie verdi, il processo difficile da ricordare.La fotosinfasi coccofilliana.Si proprio quello, dicevo grazie a questa fotosinfasi  la luce del sole viene trasformata in due ingredienti fondamentali per la nostra esistenza. Quali nonno?  Questa mi pare una bella notizia. I due ingredienti sono l’ossigeno e gli zuccheri. Gli zuccheri? Ma lo zucchero non è bianco e si trova nel barattolo accanto alla lavatrice in cucina? Sapessi quanto strilla la mamma quando si accorge che ne mangio un po’. La mamma ha ragione tanto zucchero fa male. Soprattutto quello bianco e raffinato. Ma sai come mangiano gli alberi? No, nonno come mangiano? Con l’acqua e la terra dalle radici? Le radici servono ad ancorarlo e a prendere acqua e sali minerali. Anche quello il sale mamma non vuole che lo prendo dal barattolo. E fa bene la mamma. Gli alberi ti dicevo, mangiano con le  foglie e più foglie ha un albero e più sono grandi e lisce e più mangia. E quindi nonno perché l’albero perde le foglie? Dopo i sempreverdi arrivarono alberi più evoluti con maggiori  strumenti per  resistere alle condizioni climatiche esterne e poi iniziarono a riprodursi con i fiori. Con i fiori nonno ma che dici? Dei fiori e della riproduzione degli alberi te ne parlerò un’altra volta. Dicevamo che questi alberi più evoluti compresero che maggiore è la quantità della superficie della foglia e maggiore è la quantità di energia che un albero riesce a trasformare e mettere da parte, però quando arriva l’inverno è costretto a lasciare andare le foglie, chiudere tutti i suoi scompartimenti ed andare in letargo fino a quando le gemme, che  già sono pronte prima che le foglie cadano, con il tepore della nuova stagione inizieranno ad aprirsi. Nonno ma allora non è vero che l’albero non è più verde. Sta solo dormendo? Le foglie degli  alberi sono verdi e poi diventano rosse, ma quello non è il loro colore naturale a quel punto cadono e l’albero rimane spoglio per qualche mese e poi grazie al sole che ride. Quello che fa il miracolo della vita nonno. Certo mia cara. Grazie al sole che ride , a  primavera,  le gemme si riapriranno di nuovo per far tornare le foglie, verdi e vibranti mosse dal vento per una nuova stagione fatta di armoniosa bellezza. Ti voglio bene nonno. Anch’io piccolina.

Antimo Palumbo 

Convegno “La città Sostenibile”  organizzato dall’INBAR (Istituto Nazionale di Biarchitettura)Venerdì 18 Gennaio 2010 Livorno Museo di Storia Naturale del Mediterraneo.

“Se vogliamo contribuire all’equilibrio fra architettura e ambiente, progettiamo la natura; avremo anche un equilibrio ecologico! Che senso ha mettere sui nostri disegni degli alberi generici? Un albero deve essere altrettanto importante che il movimento di una facciata, la distribuzione di un interno, la contrapposizione di volumi. Gli alberi hanno un nome, un’età, delle esigenze. Aprono o chiudono visuali, fioriscono in certe epoche e sono scultura nella stagione morta. Se sono sempreverdi danno al paesaggio gioia o tristezza. Segnano le stagioni. Un ciuffo di alberi completa o alleggerisce una massa edilizia, interrompe il ritmo di una facciata, getta ombre che vivono e rendono vivo l’ambiente.”

 Con questa breve citazione dal libro “Ecologia e Urbanistica” di Raffaele Contigiani introduco il mio  intervento, nel Convegno organizzato dall’INBAR “La città sostenibile”, volto a sottolineare l’importanza di avere alberi nel contesto urbano. Alberi necessari (l’esperienza di Milano ed Abbado ci ha già dato una grande lezione) per la nostra vivibilità e sui quali si spendano quotidianamente attraverso azioni pubbliche o private (volontariato, tree-caring, pruning,  come avviene in altre città del mondo come Londra e San Francisco) energie, risorse e progetti per accudirli, prendersene cura e poi vederli crescere nel tempo così che dall’attuale situazione che li vede semplici elementi d’arredo legati alla logica consumistica dell’usa e getta (alberi piantati che rimangono sempre piccoli per morire di stenti e privazioni dopo solo qualche anno, soprattutto per la mancanza di terra, che un po’ alla volta sta scomparendo dalle nostre città ) divengano invece nel tempo presenze ed elementi prioritari per i nuovi paesaggi cittadini sempre più bisognosi di ossigeno e bellezza, due doni  che gli alberi ci regalano da sempre con grande generosità. Fondamentale sarà poi nella progettazione la conoscenza della fisiologia di un albero e dei suoi meccanismi interni, delle sue esigenze. Viverne insieme la sua bellezza attraverso lo studio  delle diverse specie (e questo è lo scopo della mia azione divulgatrice della “cultura dell’albero” , far capire quando un albero è bello) comprenderne le diverse architetture e caratteristiche (fiori, foglie, colori, profumi: un viale di tigli a giugno porta in città ondate di gioia e vitalità)  per scegliere poi quelle più adatte. Per questa scelta consiglio il testo  “L’architettura degli alberi” a cura di Cesare Leonardi e Franca Stagi. Mazzotta Editore. Concludo questa introduzione ai sette punti sui quali concentrerò il mio intervento al Convegno citando ancora Raffaele Contigiani che dice sempre nello stesso testo : “un albero è come un cavallo: serve qualcuno che abbia cura di lui”.

Gli alberi sono fondamentali nella vita delle città per almeno sette punti

1  – Ci danno ossigeno e eliminano l’anidride carbonica. Rendono il clima cittadino più fresco attraverso la termoevapotraspirazione che avviene nelle foglie e riducono le isole di calore cittadine che nel tempo (come sta succedendo da diversi anni per Roma) rendono d’estate gli esterni delle grandi città invivibili. Gli alberi riducono il consumo di energia per il raffreddamento (attualmente realizzato con condizionatori che condizionano gli interni per “decondizionare” gli esterni). In un parco pubblico d’estate la temperatura è più bassa di qualche grado rispetto ad una zona senza alberi.

2 – Rimuovono lo smog e le polveri sottili responsabili di problemi di salute (soprattutto per gli abitanti dei centri storici senza alberi e con molto inquinamento) quali asma, malattie dell’apparato respiratorio cancro della pelle e malattie legate allo stress.

3 – Riducono l’inquinamento acustico, del traffico e delle macchine, gli alberi fungono da vere e proprie barriere per il suono. 

4 – Riducono il ruscellamento delle acque meteoritiche. La terra e le radici assorbono, assestano e rallentano l’azione dei danni dei temporali , che negli ultimi anni (proprio perché si tolgono alberi o si potano sconsideratamente , vedi l’esempio degli ultimi tragici eventi a Messina) aumentano di intensità.

5 – Incremento del valore immobiliare. La proprietà immobiliare in una strada in cui ci sono degli alberi ha un valore per il 18% superiore a quello della medesima strada senza alberi.

6 – Gli alberi contribuiscono alla biodiversità e alla  salvaguardia degli ecosistemi in città, donando riparo a una numerosa varietà di specie viventi che grazie a questo abitare permettono a questo ambiente di essere vitale. In un centro commerciale (e le città un po’ alla volta tendono sempre più ad assomigliargli) ci sarà tanto movimento, luci abbaglianti, effervescenza, ordine, pulizia,  tutto tranne che la vita. Gli alberi invece sono elementi fondamentali per la nostra vita ( un concetto spesso rimosso dalla nostra pretesa di superiorità  “antropocentrica”) e quella di altri esseri viventi (animali, uccelli, insetti, funghi, licheni, etc…) che ci abitano sopra o dentro.

7 – Aumento del benessere fisico e mentale- Miglioramento della qualità estetiche e spirituali. Gli alberi ben curati una volta cresciuti e diventati grandi obbligano l’occhio ad andare verso il cielo e quindi elevano verso l’altro la quotidianeità terrena fatta di pensieri e preoccupazioni. Gli alberi inoltre fanno diventare una città più bella.

Antimo Palumbo

Breve bibliografia:

AA.VV. – 1991 –  L’albero urbano Roma, Roma, Tomo Edizioni.
AA.VV. – 1982 – L’architettura degli alberi a cura di Cesare Leonardi , Franca Stagi , Milano, Mazzotta.

BARBERA G.- 2009 – Abbracciare gli alberi , Milano, Strade blu, Mondadori.

CONTIGIANI R. – 1981- Ecologia e Urbanistica, Roma, Edizioni Mediterranee.
KLUG P.- 2007 – La cura dell’albero ornamentale in città, Torino, Blu Edizioni.
PALUMBO A.- 2006- “Per una critica estetica degli alberi di Roma”  articolo su  Silvae Rivista tecnico- scientifica del Corpo Forestale dello Stato” , Roma, I.P.I.

La Vita degli Altri Settembre 2009 

Sfogliare i libri di  Storia è sempre  una buona abitudine per comprendere ciò che è successo in passato ed aver così più strumenti per capire il presente. E la Storia si sa non è fatta solo di date di battaglie ed armistizi ma anche di nomi, più o meno importanti, che riportandoci ad esperienze passate ci possano educare con i loro insegnamenti, a fare o non fare qualche cosa di giusto o di sbagliato. Ed oggi per coloro che ci amministrano: i sindaci, gli assessori, gli onorevoli politici,  in questa vita sempre più confusamente rapida c’è sempre meno spazio per occuparsi di questione storiche. Peccato. Perché per ciò che riguarda la situazione di Roma e dei suoi alberi, ci farebbe comprendere che siamo a un punto zero della sua evoluzione per essere ottimisti e sotto zero più realisti. Come ho già scritto in “Per una critica estetica degli alberi di Roma” uscito sul numero 6 della Rivista Silvae  Rivista tecnico Scientifica del Corpo Forestale dello Stato, ancora oggi a Roma : è più semplice trovare informazioni su quale bagno schiuma usi Demi Moore che sugli alberi che si trovano in Via Leone XIII, degli Acer negundo”. La città anche se grande e ricca di argomenti e spunti culturali di ogni genere sembra completamente abbandonata a se stessa per ciò che riguarda la cultura dei suoi abitanti verdi: gli alberi,  300 mila di cui 150 mila su strade pubbliche fino a qualche anno fa. Cerchiamo di analizzarne qualche argomento insieme attraverso nomi, e con ordine. Giacomo Boni per esempio, chi era costui? Grande storico ed archeologo e amico degli alberi, fusione di passione e conoscenza tra storia e natura ( lo potete vedere nella foto all’inizio dell’articolo) . Autore del Viridarium Palatinum , un giardino orto botanico organizzato secondo due ordini distinti : il vivaio della flora classica che accoglieva tutte le piante menzionate da Virgilio nelle Georgiche e nelle Bucoliche, da Plinio nella Naturalis Historia e che erano raffigurate nei dipinti di Pompei, del Palatino e della Villa di Livia; il giardino sperimentale che invece accoglieva nuove essenze. Un giardino delizia realizzato sul Palatino, il colle più antico ed importante della città, quello sul quale fu fondata Roma, e sul quale Boni abitava accogliendo Re, imperatori e Regine nelle visite ufficiali e sul quale ora è e sepolto sotto una palma (Phoenix canariensis) dove una semplice lapide e ce ne ricorda il suo nome. Un gesto voluto addirittura dal grande vate Gabriele D’Annunzio che il 14 Luglio del 1925 sul Popolo d’Italia perorava la sua casa a Benito Mussolini : “Tu forse non sai quanto io abbi amato il grande Giacomo Boni e quanto egli mi amasse nella religione di Roma e della sempiterna d’Italia. Oggi io ti domando per lui l’onora della sepoltura sul Palatino…”  “Chissà quale grande uomo o importante politico è stato sepolto sotto questa lapide”, si chiederanno gli ignari turisti stranieri che magari sbadatamente si trovano oggi a passare attraverso quelle aiuole recintate di basse siepi di bosso sul piano del Palatino con la sua vista mozzafiato sui Fori, “Chissà chi è stato quest’uomo”  che ancora oggi sembra guidare spiritualmente dall’alto la sua città che amava e conosceva perfettamente e che oggi è  governata da amministratori (e questo da diversi anni ormai) ormai dimentichi di ciò che vuol dire cultura degli alberi. Per comprendere questo vuoto abissale basti ricordare che sul Palatino , il colle che ospitava gli antichi e splendidi Orti Farnesiani dove fiorì per la prima volta, nel 1611 con semi portati da santo Domingo, un albero, dai fiori ricercati e profumatissimi, che da questo evento storico trasse il suo nome ovvero l’Acacia farnesiana di quest’albero non c’è traccia o storia. O meglio qualche anno fa ne è stato piantato un piccolo esemplare, che da qualche tempo è sempre più stantio e sembra vicino a fine immediata. Non dovrebbe forse un’amministrazione essere attenta ad occuparsi di promuovere i suoi tesori culturali ad ampio spettro? Pretendere un esemplare sano e robusto con un piccolo cartello che ne ricostruisce tutta la storia e vederla tornare a fiorire è un sogno ancora troppo lontano? E che dire invece degli altri innumerevoli Alberi monumentali che da secoli vivono nella città come i 12 Platani orientali  e il cerro magico e saggio di Villa Borghese, i Cipressi piantati da Michelangelo nella certosa delle Terme di Diocleziano, le Sequoie di Villa Ada, il Ginkgo biloba di Villa Sciarra o l’Araucaria bidwilli di Palazzo Brancaccio solo per citarne alcuni che vivono da diverso tempo senza essere censiti e protetti e che rischiano ogni giorno fini ingloriose come è successo per la storica e secolare Quercia del Quadraro, per la quale ci stiamo ancora battendo per poterla tornare a fare vivere? Non è forse assurdo che in una città come Roma dove tutto (monumenti, pietre, arredi architettonici antichi ) è censito, numerato e controllato non ci sia un censimento degli alberi monumentali? Come ho scritto in un articolo pubblicato qualche mese fa dalla rivista Viavai non è forse giunta l’ora di pensare ad una sopraintendenza degli alberi monumentali che non si occupi soltanto di censire e controllare ma anche di investire risorse economiche per mantenere e curare?.” Forse una quercia di 400 anni ha meno valore di un muro antico del secondo secolo dopo cristo?. E ancora,  tirando fuori altri nomi:  Guido Baccelli. Che ne è stato della sua memoria e presenza storica? Senatore, medico e umanista amico ed amante degli alberi e di Roma. I romani gli dovrebbero essergli grati due volte : intanto  per il fatto di essere stato tra i fondatori del Policlinico Umberto I (io sono uno di quelli che è nato lì) e poi perché è stato il creatore della Passeggiata archeologica. La città lo ricorda (o meglio non lo ricorda) con un monumento in pessime condizione in Piazza Salerno, ( che molti vorrebbero volentieri che si volatilizzasse visto che “impiccia” per la corsia preferenziale degli autobus) e un anonima via dietro le Terme di Caracalla. E’ stato il fondatore della festa dell’Albero una festa che negli anni ha perso sempre più spessore e importanza. Perché non pensare (come succede in tutte le nazioni civili e culturalmente attente, vedi l’Arbor Day in America) a riproporre una Festa dell’Albero che coinvolga non solo i bambini ma i grandi con non solo piantumazioni ma feste, incontri, conferenze, proiezioni di film e musica a tema ? Parafrasando un titolo alla Prokovief :  “Chi ha paura del Respighi cattivo?” . In quale cartella della memoria di questa città, sclerotizzata ormai dai suoi milioni di abitanti,  si trova il ricordo del poema sinfonico “I Pini di Roma” che il musicista emiliano, entrato a diritto nella Storia della Musica, dedicò agli alberi di Roma? Una città che a distanza di quasi 85 anni dalla sua composizione  sembra avere rinnegato queste presenze vegetali ed arboree e spettacolari che caratterizzano l’immagine  di Roma  e dove, sempre più, anche tra i tecnici che si occupano della gestione degli alberi si sta sviluppando la convinzione che i pini siano alberi che debbano essere cancellati dalla città perché poco sicuri?.  E ancora che dire invece di Alfred Kelbing direttore del Servizio Giardini nel lontano 1887 , esperto orticultore acquisito e scelto tra i migliori in Europa  attraverso una Concorso pubblico e internazionale  per  sistemare le bellezze floreali e arboree della città eterna  che dedicò la sua vita (pagandone le conseguenze con una morte prematura) per realizzare i giardini di Piazza Vittorio? E forse eccessivo ricordare che il verde di Roma si trova in questi giorni in mano a un Direttore del Servizio Giardini  persona “etica, buona e capace” ma che come tiene lui stesso a sottolineare “di alberi non ci capisce niente” e quindi costretto ad elemosinare consulenze dai suoi tecnici , che in quanto tecnici non hanno l’obbligo di occuparsi di cultura? Concludo quindi ricollegandomi a quello scritto all’inizio per ricordare  quali sono i compiti di  uno storico: ovvero , quelli di  produrre e fermarsi a riflettere su nomi, tornare nel passato, acquisire esperienze, riportarle nel presente e valutare e proporre possibili cambiamenti e nuove rotte. Oltre questo ( e non mi sembra poco) e seguendo la linea del potere magico delle parole e della ricerca dei segni che le compongono ( uno storico degli alberi è affascinato dai nomi botanici latini con i quali gli alberi vengono chiamati, parole spesso difficili come  quelle dell’albero della Tasmania Lagarostrobus franklinii  che prima o poi riuscirò a portare a Roma, adesso ancora non c’è)  che lancio un creativo quesito finale. Giacomo Boni, Guido Baccelli, trait d’union la sigla delle loro iniziali G.B. Che succederebbe per la cultura degli alberi di una città grande ed importante nel mondo come Roma se il governo dei suoi abitanti verdi che ci donano ogni giorno ossigeno e bellezza fosse in mano ad un  altro G.B. ovvero Giuseppe Barbera, professore di Dipartimento di Culture arboree  dell ‘Università di Palermo autore dei libri “Tutti frutti” e dell’ultimo “Abbracciare gli alberi”? Uno studioso e scrittore e allo stesso tempo specialista e storico degli alberi, amante ed amico degli alberi  e estremo conoscitore della loro cultura. Cambierebbero le sorti della cultura degli alberi e della loro cura in  una città le cui risorse economiche impegnate  per il verde cittadino sono sempre agli ultimi posti del bilancio ? “Non abbiamo i soldi” questo il ritornello che si è abituati a ripetere ed ascoltare. Ed è’ forse troppo chiedere il meglio? Perché una volta per diventare direttore del Servizio Giardini si facevano concorsi pubblici internazionali ed oggi è solo una carica da direttore amministrativo? Non è giunta forse l’ora di tornare a meritarci il meglio? Come fare? Semplice, intanto iniziare a pensarlo possibile e poi a richiederlo, certo Giuseppe Barbera probabilmente se ne starà beato e tranquillo nella sua calda Palermo, penso però  che per la città  di Roma  una nuova politica e cultura degli alberi  sia ineluttabile. 

Antimo Palumbo

 

a7Viavai Luglio/Agosto 2008

Ci siamo, l’emergenza punteruolo, che sta distruggendo le Palme di mezzo mondo è giunta anche nelle strade dei nostri municipi. In Via A. Balbi , infatti, una palma antica, sicuramente originaria del complesso storico del quartiere dei Villini dei ferrovieri (che fu inaugurato dal re il 31 Maggio del 1919, quindi potrebbe aver avuto 90 anni ) è stata attaccata (in agosto/settembre dello scorso anno)da questo vorace coleottero ed impressionante è stata passandoci accanto la vista di qualche mese fa (è stata rimossa a maggio) del suo “portamento adduggiato” e cioè : perdita dell’apice vegetativo, cima scomparsa, foglie secche e biancastre completamente appiattite. Una sintomatologia che si manifesta quando ormai l’infestazione è già in uno stato avanzato. Ma scopriamo insieme le caratteristiche di questo vorace animaletto. Il Rynchophorus ferrugineus (Olivier) è un coleottero curculionide,originario dell’Asia meridionale e della Melanesia, passato dall’Arabia all’Egitto e poi in Spagna. “Affezionato” inizialmente alla Cocos nucifera (ha distrutto intere piantagione di Palme da cocco in India) ha poi spostato i “suoi gusti” sulle Phoenix (in particolare le canariensis, le palme più diffuse in Italia) . Ama , e questo ancora gli specialisti non hanno capito perché, le palme maschio (la palma è una pianta dioica e ci sono esemplari “maschili” e “femminili”) anche se si è visto “dopo aver fatto fuori il maschio”  senza nessun problema si può attaccare alla palma femmina. E’ stato importato in Italia , probabilmente dall’Egitto, da piante infette non controllate . Ora invece ci sono passaporti da esibire  e periodi di quarantena da passare in casi sospetti di contagio. Alcuni dicono che ci possano essere stati degli untori, vivaisti senza scrupoli interessati a vendere nuove palme. I primi casi accertati in Italia si sono verificati ad Acireale nel 2000 . Veniamo alle particolarità dei suoi cicli riproduttivi . Il “conquistadores della palma” è il maschio che sceglie spesso palme già sofferenti (lesionate da potature, carenze idriche, eventi atmosferici, etc..) , può volare anche per migliaia di metri , una volta trovato il suo “habitat” giusto avverte con i suoi feromoni le femmine che arrivano in gruppo (uno dei rimedi tentati inizialmente per combatterlo: sacchetti di naftalina da mettere nei rami, serviva a confondere queste comunicazioni tra maschio e femmina, solo che per la tossicità della naftalina sulla pianta è oramai sconsigliata). L’accoppiamento può durare 25/30 giorni e ad ogni “unione” la femmina può deporre 10/15 uova per un totale di 300 uova ad accoppiamento. La femmina poi scava con il rostro la parte tenera della palma (alla base delle foglie e dei germogli, nelle ferite da potature) per infiggere dentro le uova. Dopo 3 giorni le uova si aprono e le larve cominciano a nutrirsi a spese dei tessuti del fusto e la svuotano un po’ alla volta, sviluppando un forte odore di vino in putrefazione (il punteruolo non resiste sotto i 4 ° C ma nella fase di fermentazione può resistere a temperature oltre i 50 ° C ). Le larve arrivano a maturità in 96 giorni, a questo punto cessano di alimentarsi , producono un bozzolo ed entrano nella fase “pupale” che può durare dai 13 ai 50 giorni. Quindi, ispezionando una palma,  3 sono “gli elementi da ricercare” : 1. il coleottero (ha un  colore che va dal ruggine al marrone rossastro con striature nere  di forma e numero e la lunghezza di 4 centimetri ) 2. le uova 3. i bozzoli. Adesso che sappiamo tutto sulla sua storia dobbiamo chiederci “che fare per prevenirlo e sconfiggerlo? Attualmente ancora non ci sono delle linee chiare e precise di intervento e si tende ancora a “brancolare nel buio” . Attenzione, comunque , perché luglio/agosto/settembre sono i mesi nei quali la sua attività e al suo massimo. Questi i possibili interventi consigliati : 1) Prevenzione : non tagliare e tanto meno potare le palme. Controllare lo stato e la cima della palma. La vibrazione della motosega potrebbe far scappare i coleotteri in azioni sulle palme adiacenti (questa finora è stata la principale causa di contagio) 2. Lotta biologica, sono state messe in azione in diverse città delle trappole biologiche a feromoni maschili che attraggono le femmine che rimangono incollate, ma l’aspetto negativo di questa “tattica” è quella di aumentare il flusso delle femmine colonizzatrici, Si stanno studiando invece la possibilità di utilizzare insetti/animali antagonisti . Sorprendente è l’esempio di Piazza Cavour  a Roma dove le Palme sono al sicuro dall’azione “continua ed ispettiva” dei topi che “abitano “ nella zona che ci salgono sopra e si mangiano i coleotteri. 3 ) Endoterapia a Roma e a Ostia sono in via di sperimentazione dei trattamenti con insetticidi (Vertimec a base di Abamectina) iniettati alla base della palma che sembrano stiano dando dei buoni risultati e così l’uso di un ricostituente fogliare il  Glucophoenix  da spruzzare sulla corona della palma dall’alto. Se molti addetti ai lavori sono in azione in questo periodo alla affannosa ricerca di risultati duraturi soddisfacenti nessuno però si è mai chiesto quali  possano essere state le cause all’insorgere di questa epidemia.  Se la regina Margherita e i Savoia hanno colonizzato prima Bordighera e poi Roma con le palme perché l’associavano all’aria buona e salutare,  bisognerà chiedersi se per caso non sia cambiato qualcosa nell’aria, inquinamento, estate torride e tropicali, elettrosmog : quanto le onde radio fanno male alle palme?  Staremo a vedere con attenzione i futuri sviluppi. Intanto ricordiamo anche i numeri del Servizio Fitosanitario Regionale  per segnalare avvistamenti e informazioni su eventuali infestazioni : fax 516.86.828 Tel. 516.84.047 – 516.86.827-516.86.821

Antimo Palumbo

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 L’Informatore dinamico Aprile 2008 

Fare ed essere sono tra i verbi che caratterizzano l’esperienza umana, ma mentre essere è un tempo statico, passivo, fare indica il movimento, la realizzazione: lo spostamento da un tempo presente ad un altro futuro. L’uomo è, ed è soggetto all’essere seconda la definizione heideggeriana, ma è soprattutto tale in quanto fa , o meglio il movimento del suo agire è quello che caratterizza la sua provvisoria permanenza sulla terra. Tutti comunque quando siamo in azione facciamo . Però bisogna vedere qual è il prodotto di questo fare.  Prendo in mano il libro di Julius Faust “La politica del corpo” Mondadori editore, e mi soffermo sulle due leggi che caratterizzano il potere creativo (il potere è un azione del fare) quello che a differenza del potere manipolativo (che si esercita spesso in diversi contesti differenti e su piani e livelli differenti ) permette all’uomo di realizzare concrete manifestazioni della sua opera e lasciare sulla terra segni tangibili del suo passaggio. 1° regola “ Le persone più potenti sono quelle che fanno le cose”. 2° regola In ogni campo quelli che fanno le cose meglio sono i più potenti” . Due regole semplici schematiche, così limpide nella loro chiarezza : ( un po’ come il rasoio bilama, la prima lama passa sul pelo e la seconda quando il pelo torna indietro lo taglia…) la ricetta per realizzare il nostro potenziale creativo e pratico. “Fatti,  non parole”dice il proverbio, ovvero fai e fai meglio e avrai il successo. Però talvolta questo fare meglio può cozzare contro l’invidia del  soggetto al quale dedichiamo il nostro fare (il committente che ci ha proposto il lavoro) e il fare meglio, e il suo relativo successo,  invece che la nostra salvezza ( chi fa bene e meglio quasi sempre è anche ben remunerato , e più si sa fare e più si guadagna…) possono diventare la nostra disgrazia. Una disgrazia che però è contingente , e riguarda le conseguenze temporanee  di chi la subisce che  può andare  in  rovina, morire povero, impazzire, etc ( non sono forse questi  gli ideali del saper fare “romantico”? ). Le sue realizzazioni pratiche (l’opera materiale frutto del fare bene) , che riescono a superare  il passare degli anni e dei secoli ed arrivare a noi, sono però, la dimostrazione della sua abilità e grandezza nello “spazio del fare”. Una grandezza legata ad un concetto che in questa nostra società attuale   a consumo rapido e tecnologico sembra scomparso per sempre : quello della Gloria.  Un concetto che da sempre ha impegnato i poeti e i grandi umanisti impegnati nella sua ricerca (dietro la gloria e la sua grandezza nel fare non c’è solo l’ego ma  c’è  l’etica, l’estetica e chissà quant’altro).  La gloria oggi, sembra sia  stata cancellata dalla Fama ( quella dei media e della televisione) ma c’è una profonda differenza tra l’essere gloriosi e l’esser famosi e quando entriamo in contatto con personaggi che “l’hanno cavalcato” ne comprendiamo la differenza . E veniamo ad uno di questi,  il nostro realizzatore glorioso  : Nicolas Foquet , il grande committente e realizzatore del  Castello e  del Parco di Vaux le Vicomte , sovrintendente delle Finanze di Luigi XIV che il 17 agosto del 1661 realizzò nella sua tenuta  a pochi chilometri da Parigi una delle feste più sontuose, ricche ed  eleganti che la storia moderna ricordi. Una festa  che rappresentò allo stesso tempo l’apice e la sua immediata caduta.  Così scrisse Voltaire : “ alle 18 del 17 agosto Foquet era il Re di Francia, alle due della mattina del giorno dopo egli non era nessuno…”  Un frase che ci ricorda molti  “capitomboli contemporanei”  quelli nei quali si passa dall’ essere il più grande al  più piccolo , dal genio al folle, dai “beati gli ultimi”  che diventano  i primi  e quando questo  succede ( nel presente e nel passato)  mi ha sempre destato curiosità e meraviglia. Nel mio scrivere da divulgatore (, la divulgazione ha un valore in una società dove il tempo per poter leggere e selezionare è prezioso…) darò solo alcuni elementi per ricostruire questi avvenimenti (lascerò poi a voi il tempo e la curiosità di approfondirli). Brevemente ne ricordo alcuni passaggi.

 10 Marzo 1661 . Il giorno dopo la morte del Cardinal Mazzarino , pluripotente Primo Ministro francese ( alla sua morte lasciò 50 milioni di lire tornesi, corrispondenti a 25 tonnellate d’oro! circa 5.000 miliardi di Lire ) Luigi XIV appena ventiduenne convoca il suo consiglio di Stato e lo sbalordisce affermando che dal quel momento avrebbe comandato lui senza bisogno di primi ministri. Colbert, (freddo e astuto calcolatore, veniva chiamato “le Nord” lo stakanovista inventore dell’industria francese- lavorava anche 16 ore al giorno- , a lui dobbiamo la Saint Gobain e i Gobelins)  assistente prima  di Mazzarino e poi sovrintendente alle finanze, confidente  del re,  inizia la sua ascesa politica ( e di ricchezza). Un’ascesa che per realizzarsi presuppone l’eliminazione di Foquet. Nicolas Foquet , 46 anni . sposato con diverse amanti, anche lui cresciuto e arricchitosi immensamente all’ombra di Mazzarino. Un uomo che amava le arti, i letterati, i poeti, i fiori, i quadri, le tappezzerie, i libri, le statue, in breve bellezza e piacere in ogni forma.. Grande mecenate di artisti , ai quali elargiva consigli regali ed incoraggiamenti. Tra i suoi artisti protetti: La Fontaine, Nicolas Poussin, Voltaire, Moliere, Madame de Sevignè. Nel 1641 , a ventitre anni,  compra la tenuta di Vaux le Vicomte a pochi chilometri da Parigi e incarica alla  trasformazione di un edificio già esistente in castello  e alla realizzazione di un parco , un “trio vincente”  composto da Louis Le Vau , architetto; Andre Le Notre, maestro giardiniere; Charles Le Brun, pittore, decoratore, scultore, creatore di tappezzerie. Questa una sintesi dei lavori svolti : “la tenuta era solo pascoli, corsi d’acqua, boschi,qualche frazione e un castello. Le colline vengono rase, le valli colmate, i corsi d’acqua dirottati e condizionati. I dintorni del castello vengono sgomberati per permettere alla geometria dei giardini di prolungare le linee architettoniche edifici facendo apparire immense prospettive, viali maestosi e vasti specchi d’acqua. Si moltiplicano le falsi prospettive e gli effetti di sorprese: sottili illusioni ottiche fanno credere più vicine al visitatore distanze in realtà molto più lontane.” Quindici anni dopo il castello è finito, il parco è realizzato. Il Re ,Colbert e la regina madre nel frattempo hanno deciso che Foquet verrà eliminato. Si prepara  la sua caduta dopo la clamorosa ascesa, ma prima di questo come per magia il tempo si ferma e nella notte del 17 agosto del 1661 , l’impossibile diventa possibile, sensi, glamour, scintille, fuochi d’artificio, una notte magica che vale una vita, la festa delle feste va in scena:  “ ecco arrivare nobildonne e gentiluomini vestiti in magnifici costumi. Abbondanti piume leggermente mosse da un a brezza sottile, bastoni da passeggio inverosimili portati molto elegantemente, ricami d’oro e merletti scintillanti prima nel sole e poi nella luce dorata delle torce e delle candele, ricche e pesanti sete e broccati. Arrivano il Re, la regina madre. Si serve la cena su piatti d’oro ( un servizio di 32 dozzine) . oltre 1000 i coperti, autore delle numerosissime delicatezze da buongustai è il cuoco Vatel  (che dopo essere scappato dopo l’arresto di Foquet, ritorna al servizio del Re per poi suicidarsi  per una cena non riuscita , parla proprio di questo  il film Vatelcon protagonista Gerard Depardieu) . La musica in sottofondo è quella del compositore italiano Lully. Attori ed attrici recitano una commedia : “Les facheux”di Moliere (che è anche presente come regista e autore) . Ci si sposta all’esterno. Luci, torce, candele, riflessi sull’acqua All’improvviso da una grande conchiglia  esce un’attrice che recita i versi seguenti dedicati a Foquet e letti con invidia dal re “ Così è gentile come egli è austero, così è potente come egli è giusto” Un attore con la maschera a forma di sole  rende omaggio al re e così Foquet che sembra dire al sovrano ( poi lo farà veramente) “sire prenda tutto questo è suo, un omaggio per la sua maestà “  Ma il re sapeva già in cuor suo che non avrebbe permesso ad un altro qualsivoglia “mortale ed umano Foquet” di oscurare anche per poco il suo splendore che di lì a poco l’avrebbe portato a divenire il Re Sole. “Signora, e noi non ci faremo restituire il maltolto da questo signore?’’questa la frase che rivolge a sua madre tra una portata e l’altra . Ma la festa continua . Le grotte si illuminano, si animano le cascate d’acqua e il bello deve ancora venire. Eccoli! Gli scoppi fragorosi e rombanti dei colorati fuochi d’artificio, che fuoriescono dagli spazi intorno al castello. Tutti con la testa all’insù . è la notte magica della  la frenesia del piacere e dei sogni. La notte del trionfo di Nicolas Foquet , ma da questo momento in poi la sua caduta è sempre più rapida. Il 5 settembre 1661 , in occasione del suo 23 ° compleanno,  il re fa arrestare Foquet, a Lione dal comandante dei moschettieri Charles de Batz-Castelmore signore di d’Artagnan, (si quello di “tutto per uno e  uno per tutti”) . L’accusa  è di malversazione ( dal francese malversation, uso illegittimo del denaro che si amministra o peculato dal latino peculatus, appropriazione indebita del denaro pubblico commessa da chi ha l’ufficio di riceverlo custodirlo) . Dopo alcuni “processi farsa” come si direbbe oggi, viene condannato dai giudici all’esilio , condanna che dal re viene trasformata in ergastolo ( il re rimuove anche i  giudici “troppo teneri”) e viene deportato al duro  carcere di Pinerolo ( in Piemonte allora in territorio francese, poi passò ai Savoia) dove muore diversi anni dopo. La sua famiglia esiliata, i suoi amici arrestati , i suoi beni sequestrati ( il castello di Vaux tornerà alla moglie solo diversi anni dopo, con l’ inevitabile  razzia di tutti i rari  oggetti presenti al suo interno) . Il trio dei “realizzatori creativi”  più il cuoco Vatel e tutto lo staff della festa diventeranno proprietà del Re con i quali potrà realizzare la sua “fotocopia di Vaux” :  la reggia di Versailles.  Per le strane circostanze della storia e grazie al sequestro effettuato dal  re il castello di Vaux , dopo essere passato attraverso due  proprietari, arrivano nel 1875 nella mani di Alfred Sommier , che insieme ai suoi figli, nell’arco di diversi anni e con ingenti investimenti economici  ne inizia il restauro filologico riportandolo nelle stesse condizioni nelle quali si trovava ai tempi di Foquet. Diciassette sono stati i film girati tra i suoi fantastici scenari (, ricordiamo Agente 007 Operazione Moonraker;Vatel: Ridiculedi Patrice Lecomte e Maria Antoinettedi Sofia Coppola) Ogni anno con una fedele ricostruzione degli  abiti dell’epoca e con diversi partecipanti viene rievocata la magica festa del 17 Agosto 1661. A dimostrazione che nello spazio del fare : fare e fare bene è una ricetta sempre valida per continuare a sopravvivere nel tempo e nella storia attraverso la gloria.

Antimo Palumbo

Gennaio 2008

E’ vero che per me gli alberi sono dei maestri – di cosa non saprei dirlo- ma dei maestri silenziosi, dei maestri del silenzio. Non sono il solo a pensarlo . Queste parole semplici e sagge introducono il ricordo e l’omaggio a Jacques Brosse, l’insigne di autore di “Mitologia degli alberi” scomparso all’alba del 3 gennaio di quest’anno, a 86 anni, a Sarlat nella verde Dordogne francese. Naturalista, monaco zen, storico del cristianesimo e filosofo, presenza fondamentale per ciò che riguarda la cultura dell’albero, oltre a “Mitologia degli alberi” pubblicato nel 1989 per le edizioni Plon (tradotto e pubblicato in Italia dalla Rizzoli) un testo “pietra miliare” letto, citato, copiato:  “l’abecedario della storia degli alberi”, è stato autore di diversi libri dedicati agli alberi. Ricordiamo : “La magia delle piante “ Edizioni Studio Tesi, 1992 ; “Gli alberi : storia e leggende” Allemandi 1989,  per il quale ha ricevuto il 28 Gennaio del 1989 l’importante Premio internazionale Nonino  riservato ad uno scrittore straniero purché pubblicato in Italia; la “Larousse des arbres et des arbustes” (2000) e “L’Arbre et l’Eveil” Albin Michel 1997  ancora non pubblicati in Italia. Ricchi, affascinanti, pieni di amore per gli alberi e per i boschi, i suoi libri come la sua vita, uno sciame di esperienze diversificate che si sviluppano producendo quello che succede agli autentici saggi : “il loro pensiero e la loro esistenza viaggiano sempre in armonia”. Un’esistenza che inizia il 21 agosto del 1922 a Parigi. Quarto figlio di cinque, di una famiglia di industriali borghesi, viene iniziato dal fratello Pierre, di 18 anni più grande, allo studio della natura e alla conoscenza della storia. Studente curioso e irrequieto studia il cinese e le culture orientali. Fondamentale l’incontro con Simonne Jacquemard  ( a sua  volta scrittrice, autrice, tra l’altro di  “Pitagora e l’armonia delle sfere”.) che sposerà nel 1955 e che resterà al suo fianco fino all’ultima ora. Nel 1945 diventa amico di Albert Camus che  pubblica sulla sua  rivista “L’Arche” il suo primo testo .”Il Segreto”. Un testo che lo fa conoscere ai servizi diplomatici francesi che lo nominano corrispondente della Radio Francese alle Nazioni Unite di New York. Ma lì rimarrà per poco ,solo due anni. Ritorna in Francia e nel 1953 entra alle edizioni Robert Laffont come redattore capo di enciclopedie e collezioni, dove vi rimane fino al 1981. Nel 1956 si trasferisce nella Dordogne dove , insieme a Simonne, crea due riserve naturali : la Devinerie en Sarthe du sud a 30 km da Mans (1965-1988) e le Verdier presso Eyzies nella Dordogne del Sud ( 1988-2003). Prolifico autore di numerose opere e testi, è del 1956 la sua opera più importante “L’ordine delle cose “ .Dopo il breve periodo dell’”espansione di coscienza” legate alle sue varie amicizie, tra gli altri :Alan Watts, Henri Michaux , Lanza del Vasto, Jean Cocteau negli anni settanta si apre alla strada mistica : lo zen e il buddismo. Allievo del maestro zen Taisen Deshimaru nel 1974 viene ordinato monaco e nel 1982 , dopo la morte del suo maestro diventa a sua volta insegnante e maestro e fonda nel 1996 l’Associazione Zen Doshin. Nel 1987 riceve le Grand Prix de Letterature de l’Académie Francaise per l’insieme delle sue opere. L’ultima delle quali, il suo testamento spirituale, scritto nel Settembre 2007 ,  è “ Pourquoi naissons-nous et autres question impertinentes” Albin Michel (Settembre 2007).

Antimo Palumbo

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